Intervista a Roberto Capobianco, presidente nazionale Conflavoro PMI

  • 19/10/2022

Siamo immersi nella tempesta perfetta: inflazione alle stelle, caro bollette e lo spettro di una recessione. Quali sono a suo avviso le maggiori criticità che sta vivendo il mondo del lavoro e quali (se esistono) le opportunità di questo momento di crisi?


Il costo di energia, carburanti e materie prime ha creato un effetto domino che ha causato un aumento incontrollato del carovita, con milioni di famiglie in estrema difficoltà a pagare le bollette e a fare la spesa. È in corso una grande speculazione, la concorrenza è a rischio nel momento in cui l’Europa non si muove unita con un macro-provvedimento anti-crisi, gli strascichi del Covid ancora si fanno sentire: il risultato facilmente prevedibile è l’ennesimo crollo dei consumi e il blocco degli investimenti, che finiscono per rinforzare il circolo vizioso. Conflavoro PMI denuncia le avvisaglie della crisi energetica da un anno, ma nulla di concreto è stato finora messo in atto. Adesso ne pagano le conseguenze i soliti, imprese e famiglie. Per noi le strade da percorrere sono due e parallele: bloccare l’emorragia e rilanciare. Nell’immediato torniamo a chiedere che lo Stato paghi gli extra costi in bolletta e che attivi un fondo di garanzia per finanziamenti a tasso zero alle aziende in difficoltà coi costi energetici. Abbiamo anche una proposta sull’ora legale che porterebbe un risparmio di circa 3 miliardi in pochi mesi. Contestualmente, c’è da lavorare sul medio- lungo periodo, nelle vesti di rilancio e opportunità: se durante il Covid l’opportunità era quella di accelerare nel processo digitale, oggi dobbiamo pensare alla transizione energetica. Bisogna investire nelle rinnovabili e nelle fonti alternative, diventare il prima possibile autonomi per quanto concerne l’energia e, soprattutto, sostenere le imprese in questo processo con sgravi e incentivi.


2) Che tipo di strategie sta mettendo in campo Conflavoro PMI per sostenere l'Italia che lavora?


Con la nostra attività di lobby nei confronti delle istituzioni stiamo portando avanti un lavoro di affiancamento alle aziende che ha pochi eguali in Italia. Storicamente, poi, abbiamo come impegno principale quello di rappresentare sindacalmente i diritti delle piccole e medie imprese. Conflavoro PMI sigla infatti contratti collettivi nazionali di lavoro regolarmente riconosciuti dal Ministero del Lavoro, dal CNEL e dagli enti preposti ai controlli. Lo facciamo, peraltro, affiancati anche dal contributo fondamentale di Federlavoro. Il nostro impegno costante in merito è quello di migliorare continuamente la contrattazione, semplificarla, renderla comprensibile tanto all’azienda quanto al lavoratore: maggiore chiarezza contrattuale significa anche minori possibilità di controversie. I titolari di impresa sono abituati loro malgrado a contratti collettivi labirintici e spesso complicati da interpretare anche per i consulenti del lavoro: noi, che conosciamo bene il sistema delle imprese perché siamo per primi piccoli e medi imprenditori in attività, teniamo invece molto alla trasparenza e alla leggibilità dei nostri CCNL. Grande attenzione da parte nostra, poi, va alle cosiddette “nuove professioni”, spesso prive di tutele e che noi cerchiamo, tramite CCNL ad hoc, di inquadrare con diritti e doveri che non lascino spazio ad ambiguità.
Altro aspetto fondamentale della nostra azione, sempre nella sfera contrattuale, è il supporto sindacale che forniamo per siglare la contrattazione di prossimità, un aspetto nei rapporti lavorativi da curare al meglio sempre al fine di evitare eventuali controversie future. C’è poi un altro punto su cui stiamo lavorando e siamo certi rivoluzionerà un sistema obsoleto: al momento posso solo dire che i tanti, troppi costi relativi alla cassa edile non ci piacciono e non piacciono più a nessuno, né alle aziende né ai lavoratori dell’edilizia. A breve annunceremo quindi una grande novità…

3) Sul piano normativo, quali sono a suo avviso le riforme più urgenti per aiutare le imprese a sopravvivere a questa ennesima crisi - che segue due anni di Covid e uno shortage dei componenti che ha rallentato ulteriormente la ripresa (poi frenata del tutto dal confitto)?


C’è da ridurre immediatamente la pressione fiscale nazionale e altrettanto, per quanto nelle loro competenze, deve essere fatto dai Comuni, che ad esempio possono mitigare la tariffa rifiuti e sospendere il pagamento del suolo pubblico, oppure anche sostenere imprese e famiglie nei costi fissi come gli affitti. Sempre a livello nazionale, oltre alla riforma fiscale sono urgentissime misure che portino a un vero efficientamento del costo del lavoro, giacché l’Italia è maglia nera in Europa. L’impresa tricolore non potrà mai davvero uscire dal bozzolo se lo Stato non ne mitiga i costi, se non la mette in condizione di assumere e di crescere economicamente. Si fa un gran parlare di introdurre un salario minimo per legge, ma ci sembra che in Italia si guardi poche volte la luna e molto spesso il dito che la indica. La burocrazia, poi, è il terzo, annoso problema su cui si basa il Lavoro in Italia e che grava in modo inversamente proporzionale all’apporto del tessuto imprenditoriale alla società. Ossia, più le imprese sono di piccole e medie dimensioni - cioè quelle che trainano davvero il Paese - e più sono vessate da questi problemi che qua ho solo accennato.


4) Nel mondo del lavoro si stanno stagliando due fenomeni: la raffica di dimission (great resignation) che sta interessando anche il nostro Paese e il leit-motiv (vero? falso? giustificabile? inaccettabile?) che i nostri giovani sono, pigri, viziati e choosy. Il tutto però in un contesto di contrattazione collettiva che non sempre è in grado di garantire minimi salariali che rispecchino almeno l'art. 36 della Costituzione. Qual è la ricetta Conflavoro?


I nostri giovani non sono pigri né viziati. Il punto è che la società di oggi va cento volte più veloce rispetto a solo pochi anni fa e l’Italia non è riuscita a restare al passo dei Paesi competitor, né a preparare il campo per il ricambio generazionale, col risultato che gli anziani lavorano fino a 75 anni e i giovani entrano sempre più tardi nel mercato del lavoro. I 36enni da noi vengono considerati giovani, lavorativamente parlando: non va bene. Per rimetterci in sesto, oltre a quanto detto finora, dobbiamo investire sulla formazione continua e riqualificazione professionalizzante sia per i lavoratori sia per gli imprenditori, come Conflavoro PMI chiede da sempre. È quindi necessario attivare incentivi e sgravi destinati alle imprese per la preparazione costante del personale, oltre che per facilitare le assunzioni da Nord a Sud e per il reinserimento di chi si trova in stato di disoccupazione o cassa integrazione. Deve poi essere agevolato e promosso dalle istituzioni un sistema di sinergie tra aziende del territorio e scuole: la formazione pratica ed efficace può partire solo da lì, dalle esigenze del singolo distretto produttivo. Anche la great resignation è legata in gran parte a questa condizione di stallo, di ‘poca attrattività’ del nostro sistema Lavoro. Tutto ritorna al capitolo della formazione: se sei adeguatamente formato in ciò che fai, non finisci vittima di fughe, lavori e cresci economicamente nell’ambiente che hai ricercato e, se vuoi metterti in proprio, grazie alla formazione puoi avere anche le nozioni e il know-how giusto per farlo.


Per quanto riguarda il salario minimo e la contrattazione collettiva, invece, la posizione di Conflavoro PMI
è sempre stata chiara. Introdurlo tramite contratti collettivi? Sostanzialmente è già così, come ha riconosciuto una recente direttiva europea, evidenziando come l’applicazione universale di un solo contratto collettivo - c.d. erga omnes, come vorrebbero alcune sigle in Italia -, non è la strada giusta. Contro la ‘poca attrattività’ di cui sopra, che ben si nota ad esempio nei lavori stagionali del turismo, noi abbiamo proposto la detassazione sui rinnovi dei CCNL e sulle ore di straordinario, insieme alla detassazione e decontribuzione sugli aumenti previsti dagli accordi aziendali e/o individuali: si tratterebbe di un sostegno concreto sia per le imprese sia per i lavoratori. In ogni caso, fissare, imporre o anche solo raccomandare un salario minimo senza prima tagliare i costi all’impresa non solo non aiuterebbe i lavoratori, ma sarebbe addirittura un danno. Tutte le aziende vogliono che i propri dipendenti siano sempre più soddisfatti economicamente, ma come fare? Semplificando, io azienda ho un budget massimo per il personale di 30 euro lordi l’ora e ho 3 dipendenti: fanno 10 euro a persona. Se però mi viene imposto di dare 15 euro a dipendente senza un propedeutico taglio al cuneo fiscale, io avrò ancora 30 euro lordi a disposizione, ma potrò permettermi di pagare solo 2 persone e una perderà il posto. Il ragionamento ci sembra molto semplice e siamo convinti che il prossimo ministro del Lavoro, una figura magari avvezza a conoscere e frequentare il mondo delle imprese, la penserà come noi, per il bene di tutto il Paese.

 

* in foto Roberto Capobianco, presidente nazionale Conflavoro PMI

 


Le ultime novità

VEDI ELENCO COMPLETO

Login Utenti